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La sala vuota gennaio 13, 2011

Posted by maxviel in Il linguaggio musicale, Il musicista, la musica contemporanea.
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L’8 gennaio 2011 è uscito sulla Repubblica un articolo di Alex Ross (autore di “Il resto è rumore”, Bompiani, buon libro di carattere divulgativo sulla musica del Novecento) che pone ancora una volta il problema del rapporto tra musica contemporanea e pubblico e del perché la diffusione degli esiti più sperimentali della musica del secolo scorso non abbia seguito il destino di “popolarizzazione” di cui invece hanno “goduto” altre arti altrettanto sperimentali e in particolar modo la pittura.
L’articolo a cui è seguito una risposta di Alessandro Baricco si trova a questo link, in cui articolo originale e risposta vengono brutalmente accostati in modo da non capire dove finisce uno (presumibilmente con i crediti di traduzione) e dove inizia l’altro.

Il problema è certamente complesso e non è facile districarlo nelle poche righe di un post. E nemmeno ci provo a farlo. Piuttosto vorrei elencare alcuni punti che certamente entrano in qualche modo nella ricerca di una risposta a questo problema.

1) Ancora oggi e con l’aiuto di qualche numero, qualcuno (ad esempio il fisico -e tuttologo aggiungerei io- Andrea Frova) sostiene che la musica tonale (cioè il linguaggio in cui sono state scritte le musiche degli ultimi secoli e che l’avanguardia ha cercato di spodestare) è l’espressione della natura e che il sistema cognitivo umano è “cablato” per apprezzare maggiormente questo tipo di musica.
Non è davvero da prendere sul serio un’affermazione così ideologica da confinare con il razzismo più bieco. Il repertorio scritto con il linguaggio tonale è una piccola isola spazio-temporale nell’immenso mare della cultura umana e la diffusione attuale su tutto il pianeta del linguaggio tonale (così come viene espresso dal pop internazionale) a scapito delle culture locali deve a mio parere essere considerato alla luce dell’espansione egemonica della cultura americano-occidentale piuttosto che essere visto come una felice “ritorno” alle leggi della natura sonora da parte di orientali e africani.

2) Bisogna dare un senso non demagogico e populistico al concetto di “difficoltà dell’ascolto”, la quale è certamente presente in molta musica del Novecento contemporaneo, ma anche della musica tardoromantica e moderna, per non parlare di buona parte della musica antica. Possiamo veramente dire che il canto gregoriano è musica di facile ascolto? E poi ciò che noi oggi riteniamo facile (qualunque cosa ciò voglia dire) sarà stato facile anche per i contemporanei di chi ha scritto questi brani? Ad esempio sappiamo che i contemporanei di J.S.Bach non ritenevano certo facile e dilettevole la sua musica. Inoltre può succedere che un appassionato di Noise giapponese possa considerare la musica di Mozart estremamente difficile… e noiosa!

3) Forse dico un’eresia. Ma a volte ho l’impressione che la musica… cioè fare musica e ascoltare musica abbia un tale effetto incantatorio che musicisti e ascoltatori, inondati da endorfine, finiscono per accontentarsi come la scimmia dell’esperimento di Delgado di schiacciare sempre e solo il pulsante del piacere. E alla fine non si interessino di altro, se non quando vi sono messi brutalmente contro.
Così mi sembra che molti musicisti, oggi come ieri, siano tra tutte le tipologie di artisti quelli meno interessati alla realtà che li circonda e più chiusi in un mondo di musiche rassicuranti, di pratiche ossessive legate magari alla manualità dello strumento. Da questo punto di vista non ha torto Ross a sostenere che la musica cosiddetta classica è diventata l’espressione pacificante e nostalgica di un mondo sicuro e conosciuto, cosa ben diversa da quello che essa rappresentava per i suoi contemporanei.
Le conseguenze sono ovvie e valgono per la musica cosiddetta d’avanguardia, ma anche per quella classica.
Mi è capitato più volte di parlare con musicisti anche affermati nell’ambito della performance di musica classica che, pressati sul fatto che anche questa è in estinzione proprio grazie all’atteggiamento dei musicisti stessi, mi hanno risposto: “Beh allora pazienza!”. Quod Era Demonstrandum.

4) Baricco, tanto per cambiare deve diffondere il suo superficialismo demagogico, sostenendo che Boulez non ha nulla a che fare con Brahms. Ovviamente è storicamente e musicologicamente una sciocchezza. Ma curiosamente altri musicisti hanno accolto la sfida del tempo. Musicisti che non si connettono direttamente alla tradizione della musica scritta, poiché lavorano quasi interamente con la musica elettronica oppure musicisti che provengono da tradizioni parallele, come la musica concreta o il rock (industriale, noise, post-) o la techno. Questi musicisti non hanno un pubblico di massa, perché la loro musica non aderisce ai canoni della musica di massa. Eppure hanno un seguito. Sono tanti, usano linguaggi e tecniche molto diverse tra loro e hanno voglia di portare avanti lo sviluppo della sensibilità musicale, anche a costo di scoprire (a volte) l’acqua calda.
Il percorso della musica non finisce con la musica classica, né con la musica contemporanea, né con il pop. Spesso è proprio per il nostro ragionare per compartimenti, per scatole chiuse che non vediamo quello che succede anche se è davanti al nostro naso. È un errore che fa Frova nella sua critica scientista del linguaggio musicale, lo fa Baricco quando indica il minimalismo americano (e milanese) il futuro della musica e lo fa anche Ross quando limita la sua analisi al pubblico “stagionato” e un po’ conservatore dei Proms di Londra.

Commenti»

1. Till - gennaio 21, 2011

Leggendo i tuoi spunti penso che parte del poblema sia legato all’epoca in cui viviamo, in cui gran parte del pubblico (tutto, non solo quello dei concerti), volente o nolente è influenzato dalla cultura imposta dai massmedia. Più che interrogarsi sul rapporto tra genere musicale e pubblico, sposterei l’attenzione su cosa fanno le istituzioni per incentivare consumi culturali “altri”, proposte estranee ai propri consumi abituali. Purtroppo assistiamo ad un periodo buio per quanto riguarda le politiche culturali nazionali (anzi per tutta la cultura), al taglio dei fondi si aggiunge il nulla da un punto di vista delle proposte.
Tuttavia ritengo che il ruolo delle istituzioni sia quello di dedicare una parte delle proprie risorse alla formazione di un pubblico. Se si vuole che io consumatore mi accosti a nuovi generi musicali, allora l’obiettivo non può solo essere quello di portarmi in sala, ma anche quello di rendere il prodotto appetibile, in modo da aiutarmi ad apprezzare la – per me nuova – proposta.

2. Andrea Arcella - aprile 30, 2011

Complimenti per il bel post (che ho citato), ho scoperto solo ora il tuo blog. Lo metterò nel blogroll.
A proposito di Frova: ho assistito ad una sua conferenza alla Facoltà di Scienze a Napoli nel 2005; secondo lui: “……Schomeberg, Webern e compagni hanno avuto un momento di gloria nel dopoguerra solo a causa dei sensi di colpa degli europei per la persecuzione ebraica”.
Rimasi allucinato dalla bestialità dell’affermazione. Le sue posizioni che definirei musicalmente “lombrosiane” lo hanno portato addirittura ad un involontario (mi auguro) antisemitismo.

maxviel - aprile 30, 2011

Grazie dei complimenti. Purtroppo non ho molto tempo per scriverci come vorrei!
Frova, come del resto Odifreddi, sembrano colpiti da una irrazionale sindrome ideologica da “scientisti di sinistra” dovuta probabilmente anche a una certa hybris da pavoneggiamento mediatico che gli fa smettere i panni degli scienziati seri per dire bestialità irrazionali che imbarazzano (o almeno dovrebbero farlo) la comunità scientifica che rappresentano. Le tanto sbandierate opinioni di Odifreddi su letteratura e la filosofia sono ad esempio spesso più degne dello stereotipo di leghista “padano” che di una persona innamorata della conoscenza.
Che ci vogliamo fare? L’importante è continuare combattere l’arroganza e l’ideologia siano esse di destra di sinistra o di centro (!) senza farsi ingannare dalla retorica populistica tipica della comunicazione di massa con cui questi figuri essenzialmente vanitosi e superficiali cercano di contrabbandare la loro merce avariata.
Sono troppo duro? Non credo: Frova e Odifreddi con certi loro scritti non fanno bene alla cultura italiana già ridotta a brandelli da chi ci governa.

3. Giovanni Grosskopf - febbraio 26, 2014

Caro Massimiliano, sono veramente molto d’accordo con quello che scrivi! Sono contento di leggere qualcuno che parli con una simile lucidità di analisi. Grazie.


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